Hamlet, troppo assurdo per essere gioco? La recensione di iPhoneItalia.

Contrariamente a quanto si può pensare al primo sguardo Hamlet or the Last Game without MMORPG Features, Shaders and Product Placement (che si potrebbe tradurre più o meno “Amleto, ovvero L’Ultimo Gioco Senza Funzionalità MMORPG, Ombreggiature e Posizionamento del Prodotto“) non è in lizza soltanto nella categoria “Il gioco per iPhone con il titolo più lungo dell’anno”. Oh, no: Hamlet si posiziona piuttosto bene anche in quella “Il gioco per iPhone più bislacco di sempre”.



In effetti si tratta di qualcosa di così originale che è davvero molto difficile esprimere una valutazione oggettiva, ma andiamo con ordine. Hamlet è, sostanzialmente, un’avventura tocca-e-clicca. La storia è qualcosa di così delirante da far sembrare Monkey Island un testo di algebra (e scusate se è poco): il giocatore controlla l’uomo del futuro, una specie di pigmeo con una lampadina in testa, che per errore atterra sopra ad Amleto (si, proprio quello di Gugliemino Shakespeare!) mettendolo ko. Ma il pigmeo lampadinato non è solo il comandante di un ufo fuori controllo: è anche un ometto con un gran senso civico e quindi, per ovviare al male che ha fatto, prende il posto dell’eroe tramortito e si mette a fare tutte le tipiche cose da Amleto, quelle cose che ogni bravo eroe shakespeariano fa ogni giorno. O quasi.

L’esito infatti è assolutamente demenziale, e completamente imprevedibile. E se è vero che questo è il maggior plauso del gioco, è anche vero che si tratta di una lama a doppio taglio, perchè questa imprevedibilità diventa anche un grosso limite.
Hamlet è articolato in una serie di scene (una ventina circa) divise in 5 capitoli. In ogni scena l’ometto dovrà compiere una serie di operazioni apparentemente sconclusionate per risolvere un enigma. Gli enigmi vanno dall’aprire una porta all’intrufolarsi in un castello, passando per cose parecchio più allucinate tipo battere una scimmia a carte o costringere a parlare un cavallo daltonico. Ed i problemi iniziano qui: la difficoltà è decisamente oscillante, perchè in certi casi la soluzione è qualcosa di così assurdo da andare oltre ogni logica di matrice aristotelica, sconfinando abbondantemente nella follia. Giusto per non spoilerare nulla, userò come esempio la prima scena (che si può provare gratuitamente nella versione lite). Per entrare nel castello si devono fare cose come: cambiare il clima da soleggiato a piovoso e viceversa, far crescere piante, spaventare uccelli, usare liane ed amplificatori. Il tutto in un dato ordine, davvero difficile da indovinare.

Per fortuna sono presenti dei suggerimenti: toccando l’omino compare un fumetto che indica in modo abbastanza sommario lo scopo della scena. Inoltre dopo un certo tempo è anche disponibile, in basso a destra, un “suggerimento”… Ma anche qui a farla da padrona è la bizzarra logica del gioco e se a volte i suggerimenti sono anche troppo espliciti ed in pratica forniscono direttamente la soluzione, in altri casi sono qualcosa di talmente inesplicabile da lasciare ancora più interdetti dell’enigma in sè.

Come se questo non bastasse, all’inizio di ogni scena il gioco ha una componente derivata dai tipici giochi “Trova l’oggetto nascosto”: prima di pensare di risolvere l’enigma bisogna innanzitutto individuare le aree “sensibili”, che non sono evidenziate in alcun modo e sono spesso di ridotte dimensioni. Questo vuol dire che giocando vi capiterà spesso di bloccarvi non perchè non sapete risolvere l’enigma, ma perchè vi mancano gli elementi per farlo, non avendo trovato la microscopica leva che aziona un certo ingranaggio. In questi casi si finisce inevitabilmente per mettersi a palpare a casaccio lo schermo, alla ricerca di qualche elemento da azionare che non si era notato subito.

Insomma, Hamlet richiede qualcosa di più del famigerato pensiero laterale: Hamlet richiede un sacco di tentativi, fatti più o meno a caso. Però bisogna ammettere una cosa: in certi casi il gioco, nella sua follia, ha una propria logica interna e arrivare ad intuirla vuol dire riuscire a risolvere un enigma con le proprie sole forze. Quando questo avviene la soddisfazione è grande e Hamlet si trasforma in un gioco decisamente gratificante. E se questo non bastasse la storia è qualcosa di talmente surreale da fornire un valido motivo per portare avanti il gioco: ad ogni scena il pigmeo del futuro si trova immerso in un casino più grande della scena prima e lascia il giocatore stupìto, divertito e con il fiato costantemente sospeso.

E poi non si può parlare di questo gioco senza menzionare la grafica, che è qualcosa di davvero ben fatto: gli shaders non ci sono, è vero, ma i contorni netti si addicono bene a questi personaggi così ben delineati e così originali. Anche le ambientazioni sono abbastanza varie e anche se il loro numero è ridotto la qualità sopperisce in larga misura alla quantità. Va però precisato che tutto è decisamente statico: fondali e personaggi sono quasi sempre fermi, tranne pochi elementi, e Hamlet sembra più un libro illustrato che non un gioco vero e proprio.

Insomma, che dire di questo gioco? Personalmente l’ho trovato irressistibile. Se dopo la recensione di The Rainy Day qualcuno aveva il dubbio che mi piacessero i giochi un po’ strani e decisamente surreali, ora ne avete la conferma. Ma al di là dei gusti personali (e i mie sono abbastanza bislacchi), è davvero difficile consigliare Hamlet: il gioco ha un livello di difficoltà oscillante tra l’impossibile ed il risibile, ma in ogni caso è breve e lo finirete in un’oretta al massimo (ma proprio prendendovela comoda). Rigiocarlo è abbastanza inutile. E per questo prezzo (2,39 €) ci sono avventure grafiche di primissimo ordine che possono offrire molto di più.

Hamlet resta un gioco per appassionati, un’avventura anomala da provare al volo se vi piacciono i nonsense, i cartoni animati per adulti, le storie assurde, i re megalomani e la mancanza di logica. Ma in ogni altro caso… cercate altrove: “La vostra principessa è in un altro castello”.

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