Stati Uniti: Tim Cook difende Apple dalle accuse sulle sue strategie fiscali

Nella giornata di ieri Tim Cook è stato convocato ad un’indagine con la sottocommissione del Senato statunitense ed ha difeso la compagnia dalle accuse di evasione fiscale.

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Nella giornata di ieri Tim Cook è apparso di fronte ad una sottocommissione del Senato per difendere Apple dalle accuse di evasione fiscale affermando come l’azienda non utilizzi alcuna scorciatoia per dirottare i propri profitti al di fuori degli Stati Uniti e verso sussidiari in Irlanda, dove è stata in grado di trovare un accordo che le permettesse di contare su una percentuale di tassazione sulle entrate pari al 2%.

Pare tuttavia che una filiale dell’azienda non abbia pagato alcuna imposta sul reddito negli ultimi 5 anni, mentre un’altra avrebbe pagato solamente lo 0.05% in Irlanda nel 2011 secondo quanto riportato in un documento rilasciato nei giorni scorsi. A difendere la compagnia di Cupertino è intervenuto Tim Cook sottolineando come Apple abbia versato un’imposta sul reddito pari al 30.5% negli Stati Uniti lo scorso anno, risultando essere per questo forse il più grande contribuente statunitense; secondo il CEO l’azienda impiegherebbe 50.000 dipendenti supportando inoltre centinaia di migliaia di lavori attraverso i propri prodotti.

Paghiamo tutte le tasse che dobbiamo – ogni singolo dollaro. Non solo rispettiamo la legge, ma rispettiamo anche lo spirito della legge.

Stando alle dichiarazioni di Cook Apple ha aperto la sua prima filiale irlandese nel 1980 per vendere prodotti oltreoceano e continua tutt’ora a gestire importanti operazioni dall’Irlanda. Nonostante nessuno abbia realmente accusato Apple di evasione alcuni senatori avrebbero messo in dubbio le sue strategie fiscali, in merito specificatamente a tre filiali irlandesi, evidenziando come Apple sia uno dei più grandi contribuenti e al contempo uno dei più grandi evasori fiscali.

L’argomentazione principale è che Apple possa contare su un vantaggio scorretto rispetto ad altre aziende statunitensi che non hanno alcuna operazione al di fuori della nazione. Cook ha naturalmente contrastato il parere del senatore McCain:Abbiamo un basso tasso d’imposta fuori dagli Stati Uniti, ma è per prodotti che vendiamo al di fuori degli Stati Uniti. Non c’è alcuno spostamento che io veda.”

Al di là delle accuse arrivate da vari senatori Tim Cook ha chiesto l’approvazione di una nuova riforma fiscale negli Stati Uniti, sottolineando come il sistema attuale sia troppo complesso e di come una tassazione del 35% scoraggi le aziende statunitensi dal portare i propri profitti esteri nella nazione: “Il sistema fiscale è un handicap per le aziende americane in rapporto ai nostri competitor stranieri, che non hanno simili limitazioni sul libero movimento di capitali.”

Poche ore prima dell’udienza è stato Eamon Gilmore, Vice-Primo Ministro irlandese, ad intervenire attraverso un comunicato, riportato da Reuters, in cui difendeva l’Irlanda dalle accuse di aver rivestito un ruolo di paradiso fiscale per Apple, sottolineando come non sia del Governo la responsabilità della bassa imposta fiscale di Apple.

Tra gli argomenti trattati durante l’udienza con la sottocommissione del Senato è presente anche quello relativo alla proprietà intellettuale. Al CEO di Apple è stato chiesto infatti quali sfide la sua azienda dovesse affrontare per proteggere la sua proprietà intellettuale negli Stati Uniti. Domanda a cui Cook ha risposto con la seguente dichiarazione:

Credo che il sistema giudiziario degli Stati Uniti sia strutturato in un modo che non consente alle aziende nel settore tecnologico di ottenere la giusta protezione per la loro proprietà intellettuale. I nostri cicli sono rapidi, il sistema giudiziario è molto lungo ed i competitor stranieri negli Stati Uniti posso rapidamente prendere l’IP ed usarla per spedire prodotti con essa. Mi piacerebbe vedere una conversazione tra paesi e osservare una protezione della IP a livello globale. Per noi, la nostra proprietà intellettuale è importantissima e adorerei vedere un rafforzamento del sistema che permetta di proteggerla.

Alcuni membri della sottocommissione hanno comunque difeso Apple dalle accuse ritenendo quella di massimizzare i profitti minimizzando l’imposta fiscale una vera e propria responsabilità dei dirigenti rispetto ai suoi azionisti:

“Francamente sono offeso dal tono e dal tenore di quest’udienza” ha dichiarato il senatore Rand Paul. “Sono offeso da un bullismo governativo da 4 triolini di dollari che ha preso di mira una delle più grandi storie di successo americane. Ditemi quale di questi politici non minimizza la propria imposta fiscale.”

Secondo Levin l’obiettivo finale dell’udienza non era quello di screditare l’azienda californiana, bensì di mettere in evidenza la necessità di una riforma fiscale. Lo stesso Tim Cook ha concluso di non essersi sentito preso di mira dai senatori e di aver testimoniato volontariamente per premere sull’attuazione della suddetta riforma fiscale.

Fonti: MacWorld, AppleInsider, TUAW

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