Apple accusata di aver violato vari brevetti con iMessage, FaceTime e Memoji

Nei giorni scorsi, Apple si è vista recapitare una serie di accuse formali per la presunta violazione di brevetti che sarebbero stato utilizzati dall’azienda per alcune funzionalità attivate in iMessage, FaceTime e Memoji.

La prima denuncia arriva dalla finlandese MPH Technologies, che accusa Apple di aver utilizzato alcuni brevetti per implementare diverse funzionalità su iMessage e FaceTime. La MPH spiega di aver contattato Apple sia nel 2016 che nel 2017 per tentare di trovare un accordo, ma senza successo.

Nella causa presentata in California, MPH afferma che iMessage, FaceTime e la tecnologia VPN di Apple utilizzate per le soluzioni MDM offerte ai clienti aziendali e scolastici, violano ben otto brevetti.

I brevetti della MPH si riferiscono alle tecnologie di comunicazione sicure e cifrate, che vengono utilizzate da macOS, iOS e macOS. MPH menziona anche funzionalità come Handoff, Universal Clipboard, iPhone Cellular Call Relay e l’inoltro dei messaggi di testo per iPhone che, dice, si basano sulle sue tecnologia.

Quando è stata contattata ufficialmente, Apple ha risposto che per loro non era necessaria una licenza, in quanto i brevetti in questione non erano stati violati o non erano più validi.

E ora, MPH e Apple andranno in tribunale.

Una seconda causa è stata intentata dalla Social Tech  e riguarda le Memoji. Nella denuncia si legge che il marchio “Memoji”, utilizzato da Apple per identificare le faccine animate su iPhone X e successivi, viola un marchio simile appartenente proprio alla Social Tech. Il marchio in questione è “MEMOJI” ed è utilizzato attualmente su alcune app Android della società che ha denunciato Apple.

Nella denuncia si legge che Apple ha costituito una controllata denominata Memofun Apple LLC per acquistare i diritti di alcune vecchie app abbandonate che utilizzavano il nome “memoji”, ma anche di app ancora in uso. A maggio, sarebbe arrivata anche una proposta alla Social Techda parte di un rappresentante che non ha voluto dire il nome del proprio datore di lavoro, che però è stata rifiutata.

Anche in questo caso, le due aziende si rivedranno in tribunale.

 

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