
Da mesi Apple picchia duro contro il Digital Markets Act europeo. Dopo averlo definito eccessivamente invasivo e aver ventilato ritardi di funzionalità e persino di hardware per l’UE, oggi alza ulteriormente il tiro: secondo un nuovo studio di Analysis Group commissionato da Apple l’apertura dell’ecosistema iPhone non ha portato a un calo dei prezzi delle app. Tradotto: una delle promesse chiave del DMA – più concorrenza, prezzi più bassi—non si starebbe materializzando.
Ricordiamo che il DMA ha etichettato Apple come “gatekeeper”, imponendo cambiamenti pesanti: possibilità di store alternativi, condizioni differenti sulle commissioni e maggior interoperabilità. L’assunto del legislatore è semplice: più concorrenza nei canali di distribuzione uguale costi più bassi per gli sviluppatori e app meno care per gli utenti.
Apple ha “aperto” agli store terzi, ma sostiene che il risultato per i consumatori non sia quello promesso.
Lo studio citato da Apple ha analizzato 41 milioni di transazioni relative a oltre 21.000 app interessate da tre cambiamenti che, in teoria, riducevano i costi per gli sviluppatori:
- nascita di store di terze parti con commissioni inferiori
- termini alternativi di Apple per l’UE (taglio commissioni dal 30% al 17% per i grandi, dal 15% al 10% per i piccoli);
- il precedente Small Business Program (commissioni dimezzate per i developer sotto una certa soglia di fatturato)
Il risultato, secondo Analysis Group: circa il 90% degli sviluppatori non ha abbassato i prezzi. Tra chi lo ha fatto, la riduzione media è stata di circa il 2,5%. Difficile, con questi numeri, sostenere che il nuovo assetto stia portando benefici tangibili alla cassa degli utenti.
Apple spinge l’acceleratore: il DMA, dice l’azienda, starebbe generando meno sicurezza e meno privacy, oltre a un’esperienza peggiore per gli utenti europei. In parallelo, la società ricorda che la stragrande maggioranza degli sviluppatori non paga commissioni perché adotta modelli gratuiti/advertising, e che oltre il 90% dell’ecosistema economico generato dall’App Store (Apple stima 1,3 trilioni di dollari a livello globale) va agli sviluppatori e ai merchant.
Le norme antitrust partono dal principio che più concorrenza porta più benefici ai consumatori, spesso in forma di prezzi più bassi. Lo studio di Apple sostiene che finora questo collegamento non si vede. Dall’altro lato, molti sviluppatori controbattono: teniamo parte del margine per investire in prodotto (feature, performance, supporto), offrendo un beneficio indiretto all’utente. Curiosamente, è una linea che Apple stessa ha spinto quando lanciò lo Small Business Program: margini più alti ai piccoli per crescere meglio.
La realtà potrebbe stare nel mezzo: non tutti i mercati sono sensibili al prezzo, e nel digitale spesso il valore percepito si gioca su aggiornamenti, qualità, community e supporto multi-piattaforma, più che su 50 centesimi in meno.
Piccola nota, il rapporto è finanziato da Apple, ma Analysis Group è un nome di peso nella consulenza economica. Interpretare i numeri, però, richiede sempre prudenza: finestra temporale, mix di categorie, modelli di prezzo (una tantum, abbonamenti, bundle) e promozioni possono condizionare molto le conclusioni.
Cosa ne pensate?