Aaron Sorkin: “Ecco come ho scritto la sceneggiatura del film Steve Jobs”

Dopo l’intervista al regista Danny Boyle, la tappa di avvicinamento all’uscita italiana del film Steve Jobs prosegue con le dichiarazioni dello sceneggiatore del film, Aaron Sorkin.

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Il film Steve Jobs uscirà in Italia il prossimo 21 gennaio, e lo sceneggiatore Sorkin ha rilasciato diverse dichiarazioni agli appassionati del nostro paese.

Quale è stato il suo approccio alla biografia “Steve Jobs” scritta da Walter Isaacson come materiale originario per questo film? E quanto pensa che il personaggio cinematografico di Steve Jobs sia vicino allo Steve Jobs vero?

Il libro “Steve Jobs” è essenzialmente un pezzo di giornalismo in una forma più lunga scritto da un giornalista di prim’ordine. Walter è l’ex capo della CNN e l’ex caporedattore del TIME. Walter aveva l’obbligo di essere oggettivo. Io ho il dovere di essere soggettivo, invece, perché faccio arte. Questa è la mia interpretazione di un uomo complicato e dei suoi rapporti marginali. Tutti quelli che hanno collaborato al film, a loro volta, hanno aggiunto le loro interpretazioni soggettive—Danny Boyle, Michael Fassbender, lo scenografo Guy Dyas, il compositore Daniel Pemberton, il montatore Elliot Graham e dozzine di altre persone.
Io e Danny eravamo convintissimi che non stavamo cercando una riproduzione di Steve Jobs, una copia di Steve Wozniak, una copia di John Sculley. Come ho detto, Steve Jobs ha voluto essere fin dall’inizio un quadro, non una fotografia. L’unico evento che ha avuto luogo nello stesso ambiente in cui ha avuto luogo nella realtà è il lancio del Macintosh, nel quale non sono riusciti a far dire al Mac “Hello” ai suoi azionisti. Gli altri due lanci hanno sì avuto luogo, ma in ambienti diversi, e sono sicuro che si sono svolti in maniera molto differente da come li ho immaginati. Tutti gli avvenimenti che vorticano intorno a questi lanci sono la mia combinazione dei conflitti della vita di Steve che ho scelto di rappresentare, condensati in azioni di 40 minuti di tempo reale.

Può parlarci della struttura caratteristica del film?

Io sono essenzialmente un drammaturgo. Mi sento più a mio agio in luoghi claustrofobici, con una sveglia che ticchetta in uno spazio chiaramente definito e circoscritto. Inoltre, ho pensato che sarebbe stato molto più interessante se questo personaggio, in qualche modo monolitico, venisse osservato durante tre momenti di svolta della sua carriera. Ho proposto questo approccio alla società di produzione e loro mi hanno dato il via libera. Leggendo a analizzando il libro di Isaacson — e anche parlando con Steve Wozniak, Joanna Hoffman, John Sculley, Andy Hertzfeld, Lisa Jobs e Chrisann Brennan — ho identificato cinque conflitti interpersonali chiave nella vita di Steve e ho trovato dei modi per mostrarli ai lanci di questi prodotti. Tutti i miei pensieri sono congetture basate in egual misura sul libro di Walter e sul materiale che ho raccolto attraverso delle interviste personali con i colleghi e i familiari di Steve. La risultante sceneggiatura di 182 pagine è fatta esclusivamente di dialoghi. Alla maggior parte dei registi questa sarebbe potuta sembrare una giungla impenetrabile, una sfida impossibile, ma Danny Boyle l’ha sposata con grande passione. Abbiamo filmato ogni atto come un film separato, in ordine cronologico e in ambienti diversi. La produzione ha dato tre settimane di prove prima di girare l’Atto Primo, e due blocchi di due settimane di prove prima di girare gli Atti Secondo e Terzo. Abbiamo pensato che questo desse agli attori l’opportunità di non imparare il dialogo e basta, ma di assorbire e fare proprio il linguaggio rendendolo naturale. Hanno imparato a vivere i personaggi per prolungati periodi di tempo, molto oltre i pochi secondi che un’inquadratura o un ciak richiedono.

Nel film, Jobs usa la paura, l’inganno e la manipolazione, tra le altre cose, per ottenere i risultati che vuole. Quanto è vera la vostra descrizione dei suoi metodi?

Steve credeva sinceramente che i suoi metodi tirassero fuori il meglio dai suoi dipendenti. Spesso, mandava indietro una prima presentazione dicendo, “Puoi fare meglio. Riprova.” Dopo aver ottenuto una seconda versione, la portava indietro e diceva, “Puoi fare meglio. Riprova.” Tre volte, quattro volte. In realtà, non guardava nemmeno mai la prima, la seconda, la terza e la quarta versione. La sua aspettativa – legittima più spesso che non – era che chiunque potesse fare meglio. Questo potrebbe sembrare insopportabile. In realtà, invece, avere qualcuno che ti sprona a fare del tuo meglio è un gran regalo. E aveva ragione. Io credo che una parte del suo comportamento impopolare avesse a che fare più con la sua personalità che con la sua determinazione a ottenere il meglio da ogni persona. Avrebbe potuto conoscere – e usare – altre tattiche manageriali, certo, ma ottenne i risultati che voleva.

Nel film Woz dice questa battuta, “I tuoi prodotti sono meglio di te, fratello,” e Steve risponde, “E’ questa l’idea, fratello.” Perché è stato importante per lei includere questo scambio?

Gli artisti incanalano nelle loro creazioni una versione migliore di loro stessi. Cerchiamo di trovare una certa perfezione che nella vita non può esistere, e questo è esattamente quello che Steve tenta con i suoi prodotti. Steve si arrabbia molto già negli anni ’70 quando Woz dice: “I computer non sono quadri.” Desumere che quello che Steve stava creando non era arte lo faceva infuriare. Il suo desiderio di rimediare ai suoi difetti personali con quello che dava al mondo era una motivazione fondamentale. Nel corso di tutta la sua vita, credo, Steve ha sempre cercato il potere. Non gli piaceva affatto non avere il controllo all’inizio della sua vita – la storia della sua burrascosa adozione ha avuto delle ripercussioni su tutta la sua esistenza. La sua intera vita creativa è stata una crociata per mantenere sempre il potere, cosa che, secondo lui, garantiva che i suoi prodotti uscissero dalla parte migliore di sé.

Che cosa ha da dire questo film sulla potenza dell’idea di un uomo, e sull’ambizione e l’imprenditorialità americana in generale?

Steve Jobs potrebbe essere stato uno degli ultimi grandi inventori di questo Paese. Ha cercato di costruire quello che al tempo molti consideravano castelli in aria. Ha sviluppato quello che sarebbe poi stato chiamato il “campo di distorsione della realtà”, che gli è stato molto utile. Si avvicinava a un progettista, o a un programmatore, o a un ingegnere e diceva, “Voglio che questo apparecchio sia grande così e voglio che sia capace di fare questo.” Il progettista poteva allora controbattere che non sarebbe stato possibile portare a termine il compito con quella misura o, magari, che se lui voleva veramente che funzionasse come sperava avrebbe dovuto avere una misura differente. La risposta di Steve era una cosa del tipo, “Allora tu sei un filisteo; non sai quello che stai facendo e quindi io troverò qualcuno che sappia realizzare quello che ho chiesto.” Alla fine, il progettista ce l’avrebbe fatta e avrebbe portato a termine cose che tutti gli altri dicevano che non potevano essere fatte.

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