Alcune settimane fa, Spotify, Tile e Match (proprietario di Tinder) hanno testimoniato contro Apple in un’udienza antitrust dedicata all’App Store e voluta dal Senato degli Stati Uniti. Oggi, è arrivata la risposta di Apple.

Durante quell’udienza, Spotify definì l’App Store una presa di potere abusiva, mentre Tile affermò che Apple utilizza la sua piattaforma per limitare ingiustamente la concorrenza. In risposta a quelle testimonianze, il vicepresidente e chief compliance officer di Apple, Kyle Andeer, ha inviato alla senatrice statunitense Amy Klobuchar, che sta supervisionando le audizioni, una lettera che copre punto su punto le varie accuse.
Nella lettera, Apple afferma che Spotify, Tile e Tinder sono alcuni degli sviluppatori più grandi e di maggior successo sull’App Store e che le loro testimonianze si sono concentrate più sui reclami relativi a controversie commerciali con Apple che sui problemi di concorrenza dell’App Store.
Spotify ha a lungo messo in discussione il sistema di acquisti in-app di Apple e la relativa commissione del 30% su tutti gli acquisti effettuati. Apple ha definito il proprio sistema sicuro e protetto per utenti e sviluppatori, per questo non sono consentiti acquisti su piattaforme terze. Inoltre, l’azienda spiega che prima della nascita dell’App Store nel 2008, gli sviluppatori avevano difficoltà con la distribuzione del software e che ogni possibile tentativo di distribuire le loro app era decisamente più costoso. Quindi, quando l’App Store è stato lanciato, ha addebitato agli sviluppatori solo una commissione del 30% sugli acquisti, aiutando a “ridurre le barriere di ingresso per gli sviluppatori di software“.
Da allora non abbiamo mai alzato la commissione; l’abbiamo solo abbassata, anche per gli abbonamenti e le piccole imprese, o l’abbiamo eliminata del tutto in determinate situazioni, come con la regola multipiattaforma. Oggi, circa l’85% delle app non paga commissioni e la stragrande maggioranza degli sviluppatori che pagano una commissione deve solo il 15% grazie al nostro programma Small Business. Il resto, coloro che guadagnano oltre 1 milione di dollari all’anno vendendo beni o servizi digitali sull’App Store, pagano una commissione del 30% (che viene ridotta al 15% per i servizi in abbonamento dopo il primo anno).
Apple prosegue dicendo che Spotify ha beneficiato della sua struttura di commissioni App Store poiché “paga una commissione su meno dell’uno percento dei suoi abbonati premium, e quella commissione è sempre solo del 15%“. Nella lettera si legge anche che, nonostante ciò che Spotify ha detto durante l’audizione, Apple non vieta agli sviluppatori di informare gli utenti sulla possibilità di acquistare altrove i contenuti presenti in-app come gli abbonamenti. Apple mette in correlazione questa regola con la sua impossibilità, ad esempio, di posizionare un’insegna in un negozio Verizon per invitare gli utenti ad acquistare un iPhone da Apple.
Apple non proibisce agli sviluppatori di comunicare con i propri clienti; Apple dice semplicemente che gli sviluppatori non possono reindirizzare i clienti che si trovano nell’App Store”‘ per lasciare l’App Store e andare altrove, proprio come Apple non può mettere un cartellone nel negozio Verizon.
La regola è stata a lungo abbracciata dai rivenditori sia nel mondo fisico che in quello digitale. Per quanto riguarda Apple, questa regola di buon senso è in vigore dal 2009, prima del lancio di Spotify su App Store. Spotify è stato lanciato ed è cresciuto secondo queste regole, ma ora Spotify a quanto pare vuole che Apple le cambi o che mantenga Spotify su un set di standard diverso da tutti gli altri.
Per quanto riguarda Tile, che da tempo attacca Apple per comportamenti anti-concorrenziali soprattutto dopo il lancio di AirTag, nella lettera si legge che gli item tracker di Tile hanno sempre registrato vendite bassissime negli Apple Store. Per questo motivo, non dovrebbero esserci problemi di concorrenza con AirTag, anche perché la piattaforma “Find My” è aperta a tutti allo stesso modo.