
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha inflitto ad Apple una sanzione da 98,6 milioni di euro per come è stata implementata la funzione App Tracking Transparency su iPhone e iPad.
ATT è la funzione introdotta con iOS 14.5 che obbliga le app di terze parti a chiedere un consenso esplicito prima di tracciare l’utente tra app e siti diversi per finalità pubblicitarie. Il famoso popup “Consenti” / “Chiedi all’app di non tenere traccia”.
Secondo il provvedimento dell’AGCM, così com’è stata pensata e integrata da Apple, questa funzione sarebbe eccessivamente gravosa per sviluppatori e inserzionisti, avrebbe effetti distorsivi sulla concorrenza e configurerebbe un abuso di posizione dominante nel mercato europeo della pubblicità mobile.
Il risultato è una delle multe più pesanti inflitte ad Apple in Italia sul fronte concorrenza e, soprattutto, un segnale politico forte su un tema molto sensibile: dove finisce la privacy degli utenti e dove inizia l’autoregolamentazione di un colosso che controlla piattaforma, regole e anche una parte del mercato pubblicitario.
App Tracking Transparency, GDPR e il nodo del “doppio consenso”
L’AGCM non contesta ad Apple il fatto di voler proteggere la privacy, anzi: nel provvedimento viene chiarito che l’obiettivo in sé è legittimo. Il problema è come viene raggiunto.
In Europa esiste già il quadro del GDPR, che obbliga le app a chiedere il consenso al trattamento dei dati per finalità di profilazione pubblicitaria. Sopra questo strato, Apple ha inserito App Tracking Transparency, che introduce un secondo livello di consenso tramite il popup di sistema.
Risultato: l’utente si trova spesso davanti a una doppia richiesta di autorizzazione:
- Il consenso GDPR gestito dall’app (banner o schermata interna).
- Il popup ATT di Apple, che decide se l’ID pubblicitario del dispositivo può essere usato per il tracking cross-app.
Per l’AGCM questa doppia frizione penalizza le app di terze parti, che vedono crollare i tassi di consenso, rende la user experience più complessa e di fatto consegna maggiore potere ad Apple, che può continuare a usare dati aggregati e propri strumenti di misurazione (come SKAdNetwork) con una posizione di vantaggio rispetto ai network pubblicitari concorrenti.
Il messaggio dell’Autorità è chiaro: Apple, da gatekeeper della piattaforma, avrebbe potuto difendere la privacy degli utenti con meccanismi meno restrittivi per i rivali.
Perché l’AGCM parla di abuso di posizione dominante
Il nodo centrale per i regolatori italiani è il seguente: Apple stabilisce le regole del gioco sull’App Store, controlla l’interfaccia con cui gli utenti danno o negano il consenso al tracking e, contemporaneamente, vende pubblicità dentro il proprio ecosistema.
L’AGCM sostiene che le limitazioni introdotte da ATT sarebbero più severe per i terzi che per Apple d. hd il flusso di consenso, così come disegnato, finisce per favorire gli strumenti proprietari di misurazione e pubblicità di Apple. Tutto questo avviene in un contesto in cui Apple è già in posizione dominante nel mercato dei sistemi operativi mobili premium e dei relativi app store.
In altre parole: non si contesta la difesa della privacy in sé, ma il fatto che Apple l’avrebbe implementata in un modo che ostacola la concorrenza e avvantaggia sé stessa sul fronte advertising.
La risposta di Apple e il rischio (reale) per App Tracking Transparency in Europa
Apple ha già fatto sapere che farà ricorso. Nelle dichiarazioni riportate dalla stampa internazionale, l’azienda ribadisce che App Tracking Transparency è nata per “dare all’utente il controllo su chi può seguirlo online”, la funzionalità si applica anche ai servizi Apple e che diversi garanti privacy europei, in passato, hanno riconosciuto il valore di ATT per la tutela dei dati personali.
C’è però un dettaglio che rende la vicenda ancora più delicata: già nei mesi scorsi erano circolate indiscrezioni secondo cui Apple avrebbe valutato la possibilità di disattivare App Tracking Transparency nell’Unione Europea, proprio a causa della crescente pressione regolatoria non solo in Italia, ma anche in Francia, Germania, Polonia e da parte della Commissione Europea nel quadro del Digital Markets Act (DMA).
Se questo scenario estremo si concretizzasse, paradossalmente sviluppatori e network pubblicitari avrebbero meno vincoli, ma gli utenti europei si ritroverebbero con meno strumenti di controllo esplicito sul tracking cross-app rispetto al resto del mondo.
Al momento è solo una possibilità teorica. Ma il messaggio di Apple è chiaro: se le autorità riterranno che ATT violi le nuove regole dei “gatekeeper”, l’azienda potrebbe scegliere la via più drastica pur di non compromettere l’architettura del proprio ecosistema.
Cosa cambia concretamente per utenti e sviluppatori italiani
Nel breve periodo, la verità è che non cambia nulla per chi usa un iPhone in Italia: il popup di App Tracking Transparency continua ad apparire, le app devono ancora chiedere il permesso per tracciare l’utente e le regole dell’App Store restano le stesse.
La multa, per ora, ha un effetto soprattutto politico e giuridico, poiché apre un fronte di contenzioso tra Apple e l’AGCM che andrà avanti anni, rafforza la linea europea che chiede ai grandi player di non “nascondersi” dietro la privacy per proteggere il proprio modello di business e manda un segnale al mercato pubblicitario, già stravolto dall’introduzione di ATT dal 2021 in poi.
Dalla parte degli sviluppatori e degli editori, soprattutto quelli che vivono di adv, la percezione è simile a quella che si legge da tempo nelle analisi internazionali: ATT ha ridotto sensibilmente le possibilità di fare profilazione fine e di misurare le campagne, con ricadute importanti sui ricavi, mentre la pubblicità “di casa Apple” ha continuato a crescere sfruttando canali e dati sui quali la concorrenza non ha accesso diretto.
La multa italiana, da questo punto di vista, si inserisce in un mosaico più ampio che comprende le indagini europee su App Store e sistemi di pagamento, le maxi-sanzioni UE per le clausole considerate abusive verso i fornitori di app e tutta la partita del DMA, che nei prossimi anni obbligherà Apple a gestire in modo più aperto app store alternativi, sistemi di pagamento e integrazione con servizi terzi.