Apple ha iniziato a rifiutare le app che utilizzano l’identificativo IDFA senza annunci pubblicitari

Da alcuni giorni, Apple ha iniziato a rifiutare su App Store alcune applicazioni che utilizzato l’IDFA (il servizio che ha sostituito l’UDID per l’identificazione dell’utente) e che non mostrano alcun annuncio pubblicitario.

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Apple fa leva su una clausola dell’SDK fino ad ora disattesa da molti, che vieta l’utilizzo dell’IDFA nelle app, se le app stesse non mostrano annunci pubblicitari. In pratica, se un’app sfrutta l’IDFA per identificare l’utente, ma poi non visualizza annunci pubblicitari, allora potrebbe essere bocciata da Apple.

L’IDFA è l’identificativo che, di fatto, ha sostituito l’UDID e che garantisce una maggiore tutela della privacy. Con questo identificativo, è possibile riconoscere in modo univoco e anonimo ogni utente e ogni dispositivo utilizzato. Questo sistema viene offerto da Apple per consentire l’invio di pubblicità mirata, come recita la clausola 3.3.12:

Tu e le tue applicazioni (e qualsiasi terzo con il quale hai stipulato  un contratto per scopi pubblicitari) potete utilizzare l’Advertising Identifier, e tutte le informazioni ottenute attraverso questo servizio, al solo scopo di offrire pubblicità

Le app bocciate sono quindi quelle che utilizzato questo identificatore, senza includere alcuna funzionalità di annunci pubblicitari.

Secondo alcuni, la decisione di Apple non è stata presa per salvaguardare la privacy degli utenti, visto che le informazioni sono comunque anonime, ma per potenziare iAd, un servizio di pubblicità mobile che non è mai decollato. Oppure, Apple vuole evitare che servizi come PayPal possano accedere alle informazioni degli utenti, visto che sono ora integrati in diverse app che sfruttano l’identificativo senza diffondere pubblicità.

Ma una mossa di questo tipo potrebbe rivelarsi un boomerang per Apple, sempre più chiusa nella sua piattaforma. C’è anche chi dice che – probabilmente – Apple potrebbe voler spingere gli inserzionisti a passare dal CPI (cost per install) al CPC (costo per clic), e per farlo avrebbe deciso di far valere la clausola di cui abbiamo parlato. Proprio sfruttando il CPI, infatti, alcune app “costringono” l’utente a cliccare su un banner che apre direttamente l’App Store per l’installazione di un’altra app specifica, e questo potrebbe falsare il ranking delle applicazioni presenti sullo store.

In ogni caso, sembra che Apple stia ragionando in modo moto soft con gli sviluppatori, proprio perchè l’unico obiettivo sarebbe quello di evitare quanto appena detto nelle ultime righe.

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