La storia segreta dell’ iPhone

Certe volte, bisognerebbe proprio trasferirsi nella Silicon Valley. Là, da qualche parte fra Cupertino Santa Clara e Mountain View, dove le basse palazzine dei più grandi colossi dell’informatica stanno guidando il cambiamento del mondo. Là, dove ogni giorno, passando magari per andare a prendere un caffè da Starbucks o per fare shopping ad uno degli infiniti mall che caratterizzano l’infinita periferia americana, in un ufficetto al buio seduti su un tavolo da riunione un gruppetto di ventenni e trentenni sta prendendo decisioni che si trasformeranno in vere e proprie rivoluzioni industriali. E in cambiamenti radicali nel modo in cui concepiamo la nostra quotidianità grazie all’apporto delle nuove tecnologie.

Prendiamo l’iPhone, ad esempio. Adesso che è passato un anno preciso dalla sua presentazione al pubblico (ve lo ricordate? Era il Macworld dello scorso gennaio, sembra una vita per noi italiani che ancora non abbiamo avuto il piacere di veder commercializzato il piccolo portento di Apple), si comincia a capire da un lato quale effetto devastante, quale rivoluzionario impatto abbia avuto l’apparecchio creato a Cupertino per i consumatori, pur con le sue mille “imperfezioni” e i mille limiti di un’opera prima. Dall’altro di quale altrettanto radicale cambiamento, un vero e proprio scivolamento tettonico, abbia generato nell’industria multimiliardaria della telefonia mobile.

Steve Jobs lo sapeva. Steve Jobs l’ha intuito. Steve Jobs l’ha fatto. Almeno, così si capisce leggendo la lunga ricostruzione pubblicata da Wired, il magazine di San Francisco che ha fatto da Bibbia a due generazioni di visionari della tecnologia (e che sotto la direzione di Chris Anderson non ha ancora smesso di farlo). Ed è una ricostruzione che l’appassionato di Apple dovrebbe praticamente imparare a memoria, per quante informazioni comunica. Racchiudiamole in due gruppi: storia dell’iPhone e cambiamento dello scenario della telefonia mobile con la sua uscita.

Dal primo punto di vista, scopriamo grazie a Wired che uno dei motivi per i quali Apple ha cominciato a lavorare sull’iPhone era che in realtà aveva cominciato da tempo ad accumulare alcune delle tecnologie di base per l’interfaccia grazie ad esperimenti e progetti portati avanti per costruire un fantomatico “tablet”, del quale si sono perse le tracce fra il 2004 e il 2005. Ancora, che sono stati spesi 150 milioni di dollari per sviluppare l’apparecchio, coinvolgendo esperti di tecnologie che Apple non conosceva (come tutto quello che attiene alla parte radio e antenna dell’apparecchio, o al controllo delle emissioni radio per la salute di chi lo adopera, o al tipo di display in vetro antigraffio) e decidendo di riscrivere da zero una versione di MacOs X in grado di funzionare sul piccolo processore * rispetto a quello dei Mac * del telefono. Proprio come avviene per Linux, che ha una sua versione compilata appositamente per gli apparecchi embedded.

Ancora, Apple ha speso molto tempo concettualizzando l’apparecchio, ma in realtà ha eseguito la creazione dei primi prototipi molto rapidamente, e sono stati quelli a convincere in realtà i manager di At&T, che in realtà all’epoca era ancora Cingular, della validità del progetto. Apple aveva tentato di costruire un primo telefono, nome in codice P1, Purple 1, collaborando sempre con Cingular e Motorola. Dalla casa delle alette sperava, grazie alla lunga frequentazione tra Steve Jobs e l’allora Ceo Ed Zander (oggi licenziato da Motorola) di realizzare un apparecchio con il software e la capacità di un iPod. Perché, anche se in pubblico diceva diversamente, Steve Jobs era conscio già dalla fine del 2002 inizio 2003 che gli apparecchi tascabili convergenti avrebbero alla lunga scalzato il nascente fenomeno di iPod, il cui crescente successo rendeva paradossalmente pericoloso il suo ruolo a fronte di un possibile crollo del fatturato di Apple. Il progetto di telefono cellulare, oggettivamente figlio di troppe mamme, era il Motorola Rokr. Un telefono bruttino e pieno di difetti, mal pensata l’interfaccia e soprattutto la parte iPod, limitata a cento canzoni e senza possibilità di scaricarle direttamente da Internet.

Superata Motorola e fatto tutto da soli, quelli di Apple si stavano rendendo conto che costruire il telefono era solo la prima parte dell’impresa. Infatti * e qui entriamo nel secondo punto di vista * sino a quel momento i fabbricanti di apparecchi cellulari, sia la gigantesca Nokia o Motorola che i “piccoli” e intelligenti Blackberry di Rim, erano in realtà dipendenti e legati a doppio filo alla volontà delle compagnie telefoniche. Queste ultime consideravano loro il mercato e i telefonini meri veicoli per tenere sulle loro reti i clienti. Quindi, i (brutti e poco innovativi) telefoni cellulari prodotti sino a quel momento dovevano essere sostanzialmente fatti in modo da piacere alle compagnie telefoniche e non ai clienti. L’altra rivoluzione di Apple è stata questa: spiegare a Cingular (poi At&T) che in realtà il master del gioco era Apple, in grado di produrre l’apparecchio dei sogni, quello che, a condizione di lasciare il controllo e una fetta consistente di guadagno ad Apple sia nella vendita che nei profitti del servizio, avrebbe provocato un terremoto. La chiave era rendere “flat” la connessione alla rete. E la cosa è successa negli Usa (un po’ meno in Europa, dove peraltro i numeri sono diversi). E la cosa ha dimostrato che Steve Jobs ed Apple avevano profondamente ragione.

A New York e a San Francisco, dichiarano alcuni dipendenti di At&T, grazie all’introduzione dell’iPhone non solo i migliori clienti della concorrenza sono stati attratti sulle linee della compagnia telefonica che commercializza in esclusiva per cinque anni l’apparecchio di Apple, ma sono anche triplicati i consumi di dati. Sono flat, senza costi aggiuntivi, però sono tre volte tanti. Quindi, più fatturato. Quindi, più felicità. Ribaltando completamente la prospettiva del mercato, che era quella di massimizzare i profitti da un numero minimo di utenti avanzati grazie a costi molto elevati e il pieno controllo del processo, le compagnie telefoniche hanno capito grazie a Steve Jobs che invece allargando l’offerta grazie ai costi più bassi a un pubblico maggiore e cedendo parte del controllo (e del fatturato) ad altri, cioè Apple, avrebbero complessivamente guadagnato di più. Non è poco. Un pezzo di storia e di analisi del fenomeno iPhone da vero e proprio manuale, quello di Wired: quasi quanto è stata una idea ed esecuzione da manuale quella di Steve Jobs.

Fonte Macitynet

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