Ma il prezzo è davvero giusto? Riflessioni tra Nintendo ed Apple

Abbiamo visto l’ultimo commento del presidente della Nintendo USA Reggie Fils-Aime sui giochi attualmente disponibili per iPhone. Per quanti se lo siano perso, vi invito a leggere la notizia citata dal nostro Emiliano o se volte approfondire, l’intervista. Riassumiamo qui, in poche parole, la posizione del buon Reggie: giochi così economici hanno di per sè una natura “usa e getta”. Sono brutti, limitati, e non valgono nemmeno il dollaro che si spende per averli. Giochi come Angry Birds, che forniscono una grande esperienza di gioco per un prezzo molto contenuto, esistono, è vero, ma sono sostanzialmente l’eccezione in un settore invaso da giochini privi di valore. E la questione secondo lui va molto al di la di questo: questo tipo di gioco non è solo inutile, è addirittura dannoso per il mercato, perchè crea nel consumatore un’errata percezione del valore di un gioco, che dovrebbe essere molto superiore ad un dollaro.



Apparentemente la posizione di Fils-Aime è scontata. I dati parlano da soli: il competitor principale della Nintendo è ormai l’iPod Touch, promosso dalla Apple più come piattaforma per giocare che non come semplice dispositivo per sentire la musica, ed il successo del gruppo di Cupertino nel settore del gaming portatile è dovuto anche e soprattutto a questa politica dei prezzi. E’ quindi assolutamente ovvia la posizione critica di Reggie: si tratta di andare contro alla propria concorrenza e di portare avanti una linea completamente diversa ed opposta.

“Mica scemo”, direte voi. “Chiaro che la Nintendo voglia andare avanti a mungere 40-50 euro a noi poveri giocatori per un gioco, potendolo fare”. La posizione del consumatore medio dovrebbe essere altrettanto ovvia: perchè pagare così tanto un gioco, quando se ne possono averne molti di più per 80 centesimi? “Chi me lo fa fare? Ben vengano giochi da pochi euro! Questo tizio tira acqua al suo mulino in pessima fede, la sua azienda ha tutte le ragioni di aver paura: perchè dar loro così tanti soldi, quando ci sono centinaia di bei giochi sull’appstore!?”

Insomma, tutto chiaro. Una situazione cristallina. O no?

In realtà le parole di Reggie andrebbero meditate un po’ più a fondo. Innanzitutto perchè chi parla non è solo un grosso energumeno americano: è un pezzo grosso del più grosso colosso mondiale in fatto di giochi, è un vero e proprio leader carismatico ed è una figura di grandissima esperienza nel settore. Ovviamente la sua è un opinione interessata, ma le sue parole vanno soppesate. Le considerazione che seguono in ordine sparso vogliono solo far riflettere sulla mobilissima situazione attuale nel settore del gaming portatile.

Qualche ragione Reggie ce l’ha. Diciamoci la verità: ci sono migliaia e migliaia di giochi sull’ App Store. Tanti, troppi. E alcuni di questi non valgono nemmeno il dollaro che ti chiedono. Giochi bruttissimi graficamente, ingiocabili e buggati fin nelle budella, oltre ogni livello di professionalità. E la cosa peggiore è che così i giochi veramente belli finiscono per “perdersi” nel mare dei mediocri. Se è vero che la snellezza dei costi e della dinamica dell’app store ha notevolmente incentivato lo sviluppo di giochi indipendenti, è anche vero che lo standard non è sempre altissimo.

Inoltre è vero anche che ci sono giochi che con un dollaro proprio non si possono fare. Pensiamo a grandi classici, come Dragon Quest. O a cosa assolutamente innovative e geniali come Scribblenauts. Questi sono giochi che hanno bisogno di tempi e costi di sviluppo di un certo tipo: hanno bisogno di budget grossi, e semplicemente non potrebbero essere fatti ipotizzando un guadagno di pochi dollari a copia. Abituare il consumatore a non spendere vuole anche dire abituare gli sviluppatori a non pensare in grande, a ridurre i costi, la lunghezza, la qualità del gioco.

Eppure tutto sommato si tratta di un finto problema. Chaos Ring è stato il primo gioco a passare la soglia dei dieci euro quando è uscito, e anche ora costa 10,49 €. Li vale tutti ed è stato per un bel pezzo in alto nella classifica delle vendite, nonostante un elevato prezzo di partenza. Insomma,nessuno dice che i giochi debbano tutti costare 80 centesimi: per un bel gioco la gente è comunque disposta a pagare!

Certo, non 40 €. Ma è anche vero che quando si paga un gioco per il Nintendo DS, non si paga solo il gioco in sè. Si pagano anche i costi di stampa, di distribuzione, di trasporto, di commercializzazione etc. Insomma, non si pagano solo lo sviluppatore, il distributore e la Nintendo, che il gioco lo hanno realizzato: si pagano decine e decine di altre aziende che quel gioco lo hanno fisicamente prodotto, che hanno stampato la scatola e le istruzioni, che lo hanno portato in giro, impacchettato, disposto sullo scaffale, venduto etc. Viceversa, quando io compro un gioco su app store gli unici che vedono i miei soldi sono la Apple e lo sviluppatore (che spesso e volentieri coincide con il distributore), con un notevolissimo taglio sui costi extra del gioco!

A voler filosofeggiare ci si potrebbe anche chiedere… ma non è che la filosofia dell’app store riflette anche una specifica situazione socio-economica? Un sacco di gente, in questo periodo, ha davvero finito i soldi da spendere. E forse trova che un gioco per console che nuovo costa diverse decine di euro sia davvero troppo, troppo caro. Mentre una partita ad  Angry Birds costa meno di un caffè.

Personalmente di una cosa sono sicura: la vera rivoluzione introdotta dall’app store non è stata tanto nel prezzo dei giochi, quanto nella DEMOCRAZIA. La meccanica di approvazione ed i costi relativamente ridotti dell’app store hanno garantito per la prima volta ella storia dei videogiochi una possibilità autentica, per tutti, di dire la loro. Finalmente sviluppatori indipendenti hanno potuto produrre quello che volevano, come lo volevano. Hanno avuto i mezzi per farlo senza dover investire milioni di dollari: personaggi come Matthew Comi, il creatore di The Incident, hanno abbandonato i loro lavori di sempre e si sono potuti mettere a sviluppare giochi full time, da soli. Sono fiorite piccole società di giochi veramente alternativi, come la Adult Swim, che ha sfornato titoli assurdi e spassosi come Amateur Surgeon, Robo Unicorn etc. Si è finalmente invertita la tendenza degli ultimi anni, di super mega giochi per super mega console, con tempi di sviluppo di diversi anni e budget da milioni di dollari. Giochi bellissimi, chiaramente: ma per sostener costi simili è chiaro che si devono seguire i gusti della massa, i gusti di un pubblico il più ampio possibile. Lo spazio per cose di nicchia sarebbe via via andato scomparendo. E così anche possibilità di avere titoli realmente unici ed originali.

L’app store è stato una rivoluzione, una rivoluzione che va avanti. Paradossalmente Reggie però ha colto nel segno: perchè la vera grande sfida, ora come è ora, è proprio quella della qualità. Riuscire a far emergere i giochi che veramente meritano dal mare di competitors mediocri e di cloni poco originali non è semplice, ed anzi è proprio la più grande difficoltà che si preannuncia agli sviluppatori per i prossimi anni.

Inoltre non si deve dimenticare quella che forse è la caratteristica più importante dell’app store. Il suo bacino di utenza… che è pressochè infinito, e non solo: è composto da potenziali gamers davvero eterogenei, che vanno dalla massaia all’uomo d’affari, fino al giocatore incallito che a casa tutte le console mai esistite sulla terra, ed altre ancora. Con un bacino di utenza così vario la domanda sorge spontanea: non è che i giochi che Reggie tanto disprezza come di scarsa qualità siano così brutti… ma solo ai suoi occhi di “addetto ai lavori”? L’iPhone ha sfondato perchè ha fatto quello che per le consoles ha fatto il Wii: ha aperto le porte a centinaia di migliaia di casual gamers, ha sdoganato il videogioco a persone che non hanno mai tenuto in mano un controller. Il gamer professionista si tiene stretta la sua PS3, ma l’impiegato medio che non ha mai giocato prima in vita sua ora si fa una partita sul suo iPhone, con qualsiasi gioco divertente gli capiti a tiro, senza troppe pretese e senza spendere molto.

E la tanto infame categoria dei casual gamers non va affatto disprezzata: personalmente adoro il mondo dei videogames e vedo di buon occhio qualsiasi cosa avvicini altra gente ad un mondo che io amo così tanto. E poi che ne sappiamo noi puristi che la ragazzina che oggi si avvelena con Farmville, non diventi campionessa di Halo… tra un pochino? Da qualcosa si deve pur cominciare.

Insomma, il mitico Reggie (che a vederlo sembra la controfigura di Donkey Kong, ma non diciamoglielo) forse voleva solo criticare un avversario… ma dalle sue parole possiamo trarre un sacco di riflessioni utili. Che ne pensate?

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