Il Congresso è stupito dalla poca conoscenza tecnologica di Comey, direttore dell’FBI

Qualche giorno fa, rappresentati di Apple ed FBI sono comparsi davanti alla Commissione Giustizia del Congresso degli Stati Uniti per rispondere alle domande dei vari deputati, ovviamente sul caso San Bernardino. Oggi, emerge che molti membri della Commissione sono rimasti spiacevolmente sorpresi dell’impreparazione del direttore dell’FBI in campo tecnologico. Intanto, anche dall’Italia arrivano i primi commenti sulla questione.

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James Comey, il direttore dell’FBI che più di tutti sta combattendo contro Apple nella battaglia tra sicurezza e privacy, sarebbe una persona poco preparata in ambito tecnologico, e questo è emerso anche dal dibattito con i membri del Congresso. Molti di loro, infatti, avrebbero manifestato tutto lo stupore sul fatto che una persona così importante fosse poco preparata sulla tecnologia. Per rispondere ad alcune domande nemmeno troppo complesse, il direttore si sarebbe affidato ad una serie di consulenti che aveva portato in aula. Quello che emerge è il quadro di una persona che non è pienamente consapevole di tutti gli aspetti tecnici della crittografia, e questo è un elemento fondamentale nella battaglia contro Apple. Addirittura, Comey ha rifiutato di rispondere ad alcune domande, spiegando che non aveva le conoscenze tecniche adeguate per farlo.

Le domande della Commissione hanno riguardato le varie alternative di sblocco su un iPhone, le questioni sulla richiesta dell’FBI di cambiare password, le conseguenze di una backdoor ed altre questioni sì tecniche, ma non certo così difficili da capire per chi sta affrontando proprio una battaglia fondamentale per la materia.

Alcuni membri del Congresso hanno ammesso che l’ignoranza tecnica di Comey in materia è un problema, perchè non è facile andare avanti nel dibattito senza le sue risposte.

Il dibattito si fa interessante anche in Italia, dove Linkiesta.it ha intervistato Stefano Rodotà per parlare proprio di privacy e sicurezza nazionale. Rodotà, tra le tante cose, è stato il primo Garante della privacy in Italia, ed è uno dei massimi esperti nazionali sui temi della tutela delle informazioni personali.

Rodotà si schiera dalla parte di Apple e spiega perchè la privacy è così importante:

In generale, sembra che non ci sia un interesse diretto da parte dell’opinione pubblica. Ma nella mia esperienza c’è una certa capacità reattiva, perché quando qualcuno trova che i suoi dati sono utilizzati in modo che lo infastidisce, allora reagisce. Di fatto, l’importanza della privacy oggi è tale che ormai si identifica con la libertà delle persone. La libertà è diventata quella non essere discriminati, non essere schedati, non diventare oggetto di controllo continuo per quanto riguarda il consumo o il lavoro.

E sul fatto che molti prendano alla leggera la questione, dicendo che tanto loro “non hanno niente da nascondere”:

L’idea dell’uomo di vetro è un’idea dei regimi totalitari. Quelli del secolo passato dicevano: se sei un buon cittadino non hai nulla da nascondere. Ma che cosa vuol dire, in fondo, “non ho nulla da nascondere”? Se trovo le informazioni sulla salute, sulle opinioni, sui comportamenti, possono essere utilizzate in modo da venire discriminato, come dicevamo. Negli Stati Uniti, e d’altra parte anche in Italia, il datore di lavoro non può accedere alla pagina Facebook di un potenziale dipendente, anche con il suo consenso. Riassumendo: è un luogo comune con una brutta origine e che può avere dei brutti effetti.

Come si gestisce la privacy online?

Costruire un equilibrio sembra reso difficile da Internet: chi la domina sono pochi operatori, aziende private e multinazionali. Non si passa più dalle regole statali, sembra, ma dai contratti con gli utenti decisi dalle stesse società private, spesso in regime di scarsa trasparenza. Il governo della rete è affidato a soggetti privati, ma non darei una lettura unilaterale di questa situazione: nella rete prevalgono in questo momento due tipi di interesse. Quello delle imprese, ad avere la maggior quantità possibile di informazioni – per finalità di mercato – e quelle delle agenzie di sicurezza, per finalità di sorveglianza. Facciamo il caso più banale. Quando digito il nome di una persona su Google, compare una schermata che dice qualcosa come “1-10 di 150.000 informazioni”. Ora, al di là della fatto che non arriverà mai alla numero centocinquantamila, come sono state scelte? Qui si tocca un punto ancora più delicato: com’è definita l’identità? In passato si diceva: “Io sono quello che dico di essere”. Oggi, siamo quello che Google dice che siamo. Siamo sempre meno persone, sempre più profili.

Ed ecco il commento sul caso Apple-FBI:

Veniamo al caso forse più attuale: quello di Apple e del cellulare degli attentatori di San Bernardino. È giusto che una casa produttrice di telefonini possa permettersi di non sbloccare un telefonino su richiesta di un governo? A fianco di Tim Cook si è schierata l’ACLU – l’associazione per le libertà civili più importante del mondo – e l’Electronic Research Foundation. Certo, Apple lo fa per ragioni commerciali, perché vuole far passare il messaggio di vendere anche privacy. Nel momento in cui introduco un software che sblocca, rendo accessibili tutti gli smartphone e quindi non te la vendo più. Però, allo stesso tempo, piegandosi alle richieste del governo si introdurrebbe per ragioni di sicurezza un tale abbassamento di tutela delle persone che i regimi totalitari potranno, a quel punto, esigere che quella soglia sia abbassata. La discussione è: lo sblocco l’unica maniera per ottenere quelle informazioni? Forse ci sono altri strumenti, come il cloud, i metadata, che li possono sostituire almeno in parte. E infine, la libertà delle persone deve essere sempre sacrificata? La sicurezza è un valore che prevale su ogni altro? Abbiamo già sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che dicono che i tempi di conservazione dei dati non possono andare oltre un certo limite, perché c’è un diritto fondamentale delle persone che va anche sopra il diritto alla sicurezza. Emerge la terza parola chiave, dopo libertà e identità: democrazia.

Sulla questione è intervenuto anche un ex-membro della squadra antiterrorismo della CIA, il quale ha affermato che all’FBI basterebbe chiamare l’NSA per risolvere il problema. Secondo le sue parole, l’NSA sarebbe in grado di sbloccare qualsiasi dispositivo, iPhone compreso.

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