Gigi Riva vs. Steve Jobs [Le nostre riflessioni]

Ammiro moltissimo quella stravagante tecnica giornalistica per la quale, durante un telegiornale, saltando da una notizia all’altra si scovano collegamenti improbabili tra i protagonisti delle diverse notizie. La cosa può risultare ridicola, facilmente parodiabile, ma è risultata utile per formulare la riflessione che vi propongo oggi. Perché è stato proprio durante un telegiornale che, al termine della presentazione di un servizio riguardante Steve Jobs, lo si è paragonato, impensabilmente, a Gigi Riva.

Elemento comune? L’essere stati entrambi idoli generazionali. E proprio mentre ancora avevo negli occhi le immagini di una delle tante presentazioni dei prodotti di casa Apple, quegli show ad effetto magistralmente condotti da Jobs, è comparso sullo schermo un vecchietto dallo sguardo torvo e la parlata sgradevole, un signore come tanti.

A pensarci bene l’idea di pensare Jobs e Riva come possibili interpreti del medesimo ruolo non era poi così azzardata, molto spesso ho sentito parlare di “rombo di tuono” con la stessa ammirazione e lo stesso trasporto che si usa per quello che il “Financial Times” ha consacrato uomo dell’anno 2010. A farlo però, sono state generazioni completamente diverse, credo valga la pena capire come e perché, per arrivare a comprendere in che ambiente culturale sono nati questi idoli.

Curioso sarebbe perciò provare a invertire le loro posizioni nella storia, provando ad affibbiare alla generazione dei nostri padri l’idolo Steve Jobs. Provando ad immaginare la reazione di un sessantottino di fronte al profeta dell’informatica moderna. In un paese in cui il PCI-PSI e gli altri partiti di simile ispirazione ideologica prendevano il 44% dei voti mentre il Partito Liberale non arrivava al 6%. L’Italia in cui nascevano, crescevano e pascevano i più grandi artisti della nostra storia, penso a Morandi o Celentano nella musica, Fellini, Risi, Mastroianni per il cinema – limitandoci ai primi venuti in mente -.  Era l’Italia di Pasolini, di Calvino, di Volontè.

Vien da se pensare che pochissima considerazione avrebbe avuto in quel contesto un personaggio come Jobs. Il mondo, com’è evidente, girava in direzione opposta rispetto a quella di oggi. Meno materiale, più spirituale, più apertamente anticonformista, meno seriale. Poca presa avrebbe avuto sui nostri genitori un personaggio che assiduamente li avrebbe invitati a “pensare diversamente”, essendo quello il principio cardine di ogni loro conquista culturale. Facilmente avrebbero visto nel suo abbigliamento così proletario e a loro posticciamente vicino, un metodo per accattivare interesse, e nulla più.

Cosa ci è successo dunque?

Credo questo confronto generazionale sia significativo, da diversi punti di vista, perché l’idolo altro non è che il compendio umanizzato dei principi di una generazione. E uno dei nostri modelli ispiratori è un imprenditore. Per quanto poetico ed entusiasmante possa essere il suo modo di comunicarci le sue idee, quello che non riuscirà mai a nascondere è che per lui siamo utenti, consumatori, acquirenti. Ma facciamo di più, seppur perfettamente coscienti di tutto ciò rimaniamo estasiati di fronte ai suoi show, come incosciamente fossimo ancora alla ricerca di una rock star. E considerandolo tale, dimostriamo di essere capaci e bisognosi di farci prendere in giro. Acclamato come un profeta – cosa che effettivamente si avvicina molto ad essere – Jobs è il leader di una generazione diversa – uso diversa – da quella di chi ci ha preceduto. E se mio padre impazziva per un personaggio come Gigi Riva, capace di accattivare simpatia senza chiederla, un ragazzo normale che dopo essersi rotto tibia e perone per fare un gol affermava che sarebbe stato pronto a rifarlo cento volte, noi esaltiamo un genio del marketing e dell’informatica. E questo fa pensare a quanto ha detto Bob Dylan, il quale non molto tempo fa aveva causticamente affermato che se rinascesse negli anni duemila, abbandonerebbe la chitarra per darsi alla matematica.

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