
Secondo un nuovo report dalla Corea del Sud, almeno una parte dei sensori fotografici di iPhone 18 Pro dovrebbe arrivare da casa, o quasi: saranno prodotti da Samsung nel suo impianto di Austin, in Texas, e basati su una nuova generazione di sensori stacked a tre strati.
Per Apple sarebbe un doppio passo avanti: da una parte la solita corsa alla qualità d’immagine, dall’altra un ulteriore pezzo di catena produttiva che si sposta negli Stati Uniti, in linea con quanto chiede da tempo la politica americana.
Lo stabilimento Samsung di Austin non è nuovo, ma finora non si era occupato di sensori fotografici per smartphone. Secondo quanto riportato dalla stampa coreana, l’azienda sta preparando l’installazione di nuove linee per la produzione di sensori CMOS (CIS) destinati ad Apple, con avvio previsto intorno a marzo.
Il dettaglio interessante è che si parla esplicitamente di una tecnologia di bonding “wafer-to-wafer” con tre wafer impilati, la stessa architettura descritta da altre fonti come base dei sensori stacked di nuova generazione che Apple vuole adottare sui futuri iPhone di fascia Pro.
Le tempistiche combaciano: produzione che parte in primavera e lancio di iPhone 18 Pro atteso per l’autunno 2026. Troppo tardi per un iPhone 18 “base” che, secondo i rumor più recenti, arriverà in un secondo momento, nel 2027.
Per anni, il capitolo “sensori camera” in casa iPhone è stato semplice: forniture quasi totalmente in mano a Sony. Ora lo scenario si complica. Secondo diversi report, Samsung avrebbe strappato ad Apple almeno una parte della torta proprio grazie a questa nuova generazione di sensori stacked a tre strati, più avanzata rispetto alle soluzioni attuali.
L’idea di base dei sensori “stacked” è separare i vari livelli di un sensore fotografico invece di comprimere tutto sullo stesso silicio. In estrema sintesi:
- uno strato è dedicato alla parte “ottica”, dove arriva la luce
- uno (o più) strati inferiori ospitano l’elettronica di lettura e di elaborazione del segnale
Con tre strati, una parte ancora maggiore dell’elaborazione può essere spostata vicino al sensore, riducendo colli di bottiglia e aumentando la velocità di lettura. I vantaggi potenziali sono chiari: lettura più rapida del sensore, quindi meno rolling shutter e tempi di scatto più reattivi e maggiore possibilità di gestire gamma dinamica e rumore in modo più sofisticato, oltre a basi migliori per funzioni video avanzate e per l’elaborazione computazionale in tempo reale
Non parliamo quindi solo di “pixel in più” sulla scheda tecnica, ma di un cambio di architettura che può incidere concretamente su velocità, resa in condizioni difficili e continuità tra scatto e anteprima.
Il fatto che questi sensori nascano in Texas non è un dettaglio folkloristico, ma una mossa perfettamente allineata con il contesto attuale.
Negli ultimi anni il governo statunitense ha spinto fortissimo per riportare parte della produzione di chip avanzati in patria, con misure come il CHIPS Act e una pressione costante sui grandi colossi tech perché diversifichino rispetto all’Asia.
Apple si è già mossa sul fronte CPU collaborando con TSMC negli impianti in costruzione in Arizona. Non è realistico aspettarsi un iPhone “prodotto in America” nel senso tradizionale del termine, ma pezzo dopo pezzo Apple sta spostando alcune componenti chiave in territori politicamente più “sicuri”.