
Negoziare con un Presidente degli Stati Uniti non è cosa da poco. Farlo con Donald Trump, in pieno clima di guerra commerciale con la Cina, richiede ancora più diplomazia. Eppure Tim Cook ce l’ha fatta di nuovo.
Dopo aver salvato Apple dai dazi durante il primo mandato di Trump, il CEO dell’azienda di Cupertino ha messo a segno un’altra mossa strategica che ha portato all’esenzione temporanea degli iPhone, Mac, iPad e Apple Watch dai nuovi dazi del 145% imposti sulle merci importate dalla Cina.
Un colpo di teatro dietro le quinte di Washington, fatto di telefonate, lobbying discreto e, soprattutto, di una comunicazione calibrata al millimetro per non urtare la sensibilità politica del tycoon.
Secondo quanto riportato dal Washington Post, Cook avrebbe parlato direttamente con il Segretario al Commercio Howard Lutnick, spiegando nei dettagli come l’imposizione di dazi così alti avrebbe costretto Apple ad aumentare sensibilmente i prezzi di iPhone e degli altri prodotti, minacciando l’accessibilità e la competitività dell’intero ecosistema Apple negli Stati Uniti.
Cook non si è fermato lì: ha contattato anche altri alti funzionari della Casa Bianca, senza mai criticare pubblicamente le politiche di Trump. Una strategia ben diversa da quella adottata da altri CEO del settore tech, e forse proprio per questo più efficace.
Il risultato di queste manovre è arrivato lo scorso weekend, quando l’amministrazione Trump ha ufficializzato l’esenzione per una lunga lista di prodotti elettronici, tra cui iPhone, Mac, iPad, Apple Watch e altre apparecchiature tecnologiche. Una mossa che ha fatto tirare un sospiro di sollievo non solo agli utenti, ma anche a Wall Street: il titolo Apple, che nei giorni precedenti era sceso fino al -20%, ha recuperato parte del terreno perso dopo l’annuncio.
Ma attenzione: nulla è definitivo. Trump ha già dichiarato che nessuno “avrà un’esenzione permanente” e che l’elettronica sarà “sotto esame” nei prossimi cicli di indagini commerciali nazionali. In pratica, Apple è stata semplicemente spostata in un “tariff bucket” provvisorio, in attesa di nuove decisioni strategiche.
Trump continua a sostenere che Apple dovrebbe produrre i suoi dispositivi negli Stati Uniti, ma i fatti raccontano una realtà ben diversa. Le barriere sono evidenti: assenza di manodopera specializzata, costi di costruzione delle fabbriche elevati, e salari molto più alti rispetto alla Cina o all’India.
Apple ha comunque promesso investimenti per 500 miliardi di dollari negli USA, incluso un progetto per produrre server Private Cloud Compute in uno stabilimento in Texas in collaborazione con Foxconn. Ma si tratta di prodotti industriali e non consumer, quindi meno complessi da assemblare in ambito nazionale.