Apple Store: il malessere degli impiegati

Lo scorso anno, nei tre mesi di punta, Jordan Golson ha venduto computer e melafonini per circa 750 mila dollari. Niente male per un solo impiegato. Altrove si sarebbe addirittura festeggiato almeno con una bottiglia di champagne, ma nulla per Jordan, nessuna nota di merito, nessun premio per la performance: sola la realtà di non potersi permettere, quasi, quella bottiglia di champagne. E’ la storia di 30 mila impiegati Apple presso gli Store negli States.

Stavo guadagnando 11.25 dollari l’ora” ha detto Jordan. “Una parte di me pensava: questo è stupendo! Sono un fan di Apple, il negozio sta vendendo alla grande. Ma quando si guarda alla quantità di denaro che la Società sta facendo e poi allo stipendio, l’umore diventa pessimo“.

Una “storia d’amore” all’americana, con uno smartphone che ha contribuito a creare migliaia e migliaia di posti di lavoro in Apple e anche nell’indotto. Un fiume di soldi per l’intera economia. In questo ricco mondo, l’Apple Store è il re indiscusso: una perfetta macchina da soldi, capace di entrate da capogiro.
Lo scorso anno nei 327 negozi si sono prodotti più soldi per metro quadro rispetto chiunque altro negli USA. Il secondo della lista, Tiffany, è distanziato di un bel pezzo in questa classifica.

A livello mondiale, l’Apple Store ha venduto per 16 miliardi di dollari. E di tutta questa ricca torta ben poco arriva nelle tasche di chi lavora a contatto diretto con la clientela e vende uno dei tanti preziosi prodotti col marchio della Mela.

Nell’immaginario comune l’azienda di Cupertino è formata da ingegneri e manager con stipendi da sogno, ma il vero cuore di Apple sono proprio i venditori impiegati nelle linee di vendita. Dei 43 mila impiegati Apple negli USA, ben 30 mila sono quelli che lavorano negli Store, con uno stipendio medio annuo di 25 mila dollari: molto al di sotto della media nazionale di 46 mila dollari. Eppure, sono impiegati che lavorano per l’azienda più dinamica al mondo, quella di maggiore valore e di tasso di crescita, il cui capo, Tim Cook, ha guadagnato in 10 anni circa 570 milioni di dollari. Non solo, un venditore Apple pare non avere eguali come capacità, forse perché animato dall’entusiasmo di lavorare per Apple: un valore aggiunto innato!

In pochi anni, Internet ha prodotto una ricchezza che è stata distribuita sopratutto su poche decine di nuovi milionari. In questi mesi in America si discute delle cause che hanno portato la disoccupazione ai livelli record di oggi. Solo l’8% della forza lavoro americana è impiegata nel manifatturiero, perché negli 20 ultimi anni la produzione è stata trasferita all’estero. La crescita occupazionale degli anni passati era legata al mondo dei servizi e non della produzione industriale reale. E adesso si comincia a capire che il futuro dell’occupazione non può più fare a meno di tutto quello portato altrove con troppa facilità. La crisi si fa sentire ovunque e, adesso, anche i ragazzi che escono dai college sono disposti a lavorare per salari bassi.

Il salario minimo pagato in America è di 7.25 dollari all’ora. Apple, quindi, paga i propri impiegati 4 dollari al di sopra del minimo legale. Ma 1 dollaro in meno di Lululemon (catena di vestiti sportivi), che paga contributi all’assistenza sanitaria dei propri commessi, oltre una percentuale sul venduto come incentivo.

Eppure un ragazzo che lavora per Lululemon vende tute e scarpe da ginnastica, nulla di comparabile ai costosi prodotti della Mela. Se poi si dividono le entrate di Cupertino per il numero di dipendenti, si ottiene la cifra di 473 mila dollari cadauno. Divisione troppo generica, non c’è dubbio, ma che rende l’idea del malessere crescente tra i ragazzi degli Store. Eppure quel calcolo generico è tipico delle ricche società di consulenze finanziarie ed è oltre il doppio della media di 206 mila dollari di una grossa catena di elettronica.

Qualcuno deve essersi accorto che sta calando l’entusiasmo degli addetti alle vendite e ha così allarmato i piani alti di Cupertino. Dopo 4 mesi dall’inizio dell’inchiesta del New York Times sugli stipendi Apple, i responsabili di Cupertino hanno fatto sapere che presto arriveranno degli aumenti. Soldi di cui non si conoscono, ancora, quantità e tempi. Le promesse sono uguali dappertutto.

E mentre a Cupertino discutono sul come, quanto e quando, i commessi della catena Flagship hanno avuto 2.82 dollari di aumento, piazzando il guadagno per 1 ora di lavoro a 17.31 dollari. Più del 50% di uno dei ragazzi con la T-shirt blu degli Store Apple. Il paragone diventa triste anche se si pensa ai venditori terzi di prodotti Apple, come Verizon e AT&T, che hanno una paga base di 36 mila dollari annui più gli incentivi alla vendita.

In tanti anni Apple è riuscita a costruire una vera cultura dei propri impiegati, quasi missionari esaltati del vangelo elettronico. Ragazzi laureati e di livello medio alto, disposti fino ad oggi anche a paghe piuttosto basse. Un vero punto di forza che solo pochissime aziende possiedono (forse nessuna). E quindi un patrimonio oggi da difendere, dopo i primi cali di “vocazione”.
Ogni ragazzo presso uno Store vi ripeterà sempre e con convinzione: “Lavorare per Apple è come lavorare per un bene più grande”. E una età media davvero bassa rende, probabilmente, più tollerante un ambiente di lavoro frenetico, rumoroso e stressante. Valori che per altre aziende sarebbero da conquistare ma per Apple sono a costo zero.

Il risultato di questa situazione di disagio è un tempo medio di impiego di due anni e mezzo: resistere oltre diventa impossibile. Però, l‘intenzione iniziale è una media di 6 anni di permanenza in quell’impiego.
Indagini interne hanno riscontrato effettivamente questo malessere diffuso (e ci voleva un’indagine…). I tassi di turn-over del personale è altissimo. Gli esperti tecnici (i ragazzi del Genius Bar) e di programmazione sono i primi a cercare fortuna altrove. E lo scotto pesa. Del resto, perdere da giovani certi ideale scotta davvero troppo. Ma la vita è così.

Apple, invece, dichiara: “migliaia di professionisti di incredibile talento lavorano al servizio clienti per dare il miglior servizio”. Tutto vero, il servizio è il migliore in assoluto. Ma quando Apple riferisce di un tasso del 90% di mantenimento degli impiegati, il dato lascia perplessi. Lo dice Shane Garcia, ex responsabile dello Store di Chicago: lavori equivalenti rendono minimo 40 mila dollari annui. E forse chi resiste e alza quella media di permanenza lo deve solo alla crisi globale. Il problema dei dipendenti non è solo la busta paga bassa e il ritmo di lavoro, ma anche la mancanza di crescita vero l’alto. Le posizioni negli Store sono meno di dieci, a fronte di troppi candidati. Eppoi saltare altrove in Apple è quasi impossibile, riferisce Garcia, dopo 4 anni di lavoro nello Store.
Apple impone ovunque il divieto al suo personale di parlare con i media (lo confermo), ma questo non impedisce ai media di avere informazioni attendibili al di fuori degli ambienti di lavoro. E così se molti si lamentano, molti altri riferiscono di un ambiente bello di lavoro, ideale per un ragazzo di 20 anni. Cercare lavoro dopo qualche anno passato in Apple diventa più facile, perché quell’esperienza di lavoro alza di molto il valore del curriculum.
Kelly Jackson, tecnico presso lo Store di Chicago, era molto entusiasta due anni fa quando fu assunta. Ma lo era molto di più l’anno seguente quando ha cambiato lavoro: “Le soddisfazioni erano troppo poche”.

Quando nel 2000 Steve Jobs presentò il progetto degli Store, lasciò tutti perplessi. Jobs assunse Ron Johnson per la progettazione dei negozi che, a sua volta, si affidò a 8 persone per la realizzazione del progetto. Una di queste era Denyelle Bruno alla quale non raccontarono quasi nulla sul tipo di lavoro al momento dell’assunzione. La signora Bruno racconta che al momento di selezionare il personale per i primi negozi di McLean e Glendale la domanda era tale che era più facile essere ammessi a Stanford ! Per molti anni sono arrivati migliaia e migliaia di curriculum sul sito web di Apple.

La seleziona iniziava sempre nei tipici seminari che si tengono in quegli hotel con sale conferenze enormi. Graham Marley racconta che la prima selezione avveniva escludendo tutti quelli che si presentavano con oltre 3 min di ritardo. I fortunati scelti passavano quindi in uno dei corsi di formazione, a seconda del caso da pochi giorni a qualche settimana: la formazione del discepolo aveva inizio. Il saluto di benvenuto era fatto direttamente dai manager di Apple che, con una vera e propria ovazione, ti facevano sentire fin da subito parte della grande melafamiglia. L’entusiasmo era tale che le mani facevano male fin da subito dal troppo battere, riferisce Marley.
Una delle prime cose da insegnare ai tirocinanti, racconta Shane Garcia, era quella di imparare a riconoscere il problema anche se poi non era possibile risolvere il problema.

Nella testa di ogni tirocinante che arriva poi allo Store c’è la convinzione di arricchire la vita delle persone, cioè l’idea che stanno facendo qualcosa di molto più grande di una semplice vendita. Con questa logica il dipendente si convince della propria nobile missione e lo stipendio che ne deriva diventa secondario se non, quasi, inutile. Finché dura la sbornia. Quindi paragoni con venditori Verizon che hanno stipendi da 35 mila a 100 mila dollari vengono tranquillamente snobbati dal neo dipendente Apple.

La signora Bruno riferisce che l’idea di Apple di non incentivare i dipendenti con premi per le vendite era chiara fin da subito. Del resto la logica dello Store non era quella di rifilare al cliente il prodotto più caro ma solo quello che faceva al suo caso specifico. Una scelta di marketing molto chiara e differente da tutti gli altri. Il rapporto da stabilire col marchio era di fiducia, da costruire e mantenere nel tempo, non quindi con una sola vendita.
I premi alle vendite avrebbero solo favorito la concorrenza diretta tra i dipendenti e non gli interessi globali. Apple riduce al minimo i guadagni dei dipendenti come scelta di strategia, selezionando quei dipendenti più motivati e non interessati al solo denaro: un impiegato ideale giovane, dinamico, senza famiglia (non se la può permettere…) e con bisogni ridotti rispetto chi deve pagare assicurazioni per il college ai figli ecc ecc. Insomma, tutto calcolato. E non mancano i laureati, anzi abbondano. Come Asher Perlman, approdato a 22 anni nello Store di Chicago 3 anni fa. “Io sconsiglio questo lavoro ai miei amici di 35 anni e con figli, ma è ideale per chi entra nel mondo del lavoro a 22 anni”. Oggi Perlman ha già cambiato lavoro.

L’arrivo nel 2007 dell’iPhone ha portato una vera e propria folla di persone negli Store. E questo, secondo molti ex dipendenti, ha portato cambiamenti in peggio, per quanto la Società abbia cercato di applicare la propria cultura esistenziale comunque.
Arthur Zarate, assunto nel 2004 presso lo Store di Mission Viejo, racconta come la sua formazione gli abbia lasciato un forte senso si appartenenza e di orgoglio. Il senso era proprio quello di lavorare per aiutare le persone. “I miei clienti mi conoscevano per nome, nonostante i 20 min a disposizione per intervento”. Nel 2007 la situazione è peggiorata quando l’Azienda ha deciso di introdurre il sistema dei punti: 1 punto per ogni giorni di assenza. Al quarto punto in 90 giorni c’era il licenziamento. “Un principio all’apparenza buono ma che in realtà non teneva conto dei motivi di quelle assenze. Nemmeno il certificato medico serviva ad evitare quel punto”. Zarate rischiò il licenziamento a seguito di una forte bronchite. Con disappunto Zarate ricorda anche una riunione trimestrale dei dipendenti, con effetto sorpresa annunciato dal manager di turno: luci abbassate, musica e balli e… un banchetto di tacos per tutti ! L’umiliazione era davvero pesante.

Il successo dello Store ha obbligato Apple a rivedere i tempi di intevervento, portandoli a 15 minuti per quelli su computer e 10 per i dispositivi mobili. Questa scelta era molto funzionale sulla carta, ma poco pratica nella realtà, con veri e propri tamponamenti nelle file di attesa e tecnici operativi anche su tre interventi “in multitasking”. Il ritmo era tale che i ragazzi erano obbligati a rinunciare anche alle pause (legali) di lavoro. Ne conseguì una class action nel 2009 con Apple accusata di distruggere le leggi di tutela del lavoratore. Causa poi bocciata lo scorso giugno. Nel frattempo si sono aggiunte altre cause di lavoro, come quella di Kevin Timmer dello Store di Mall Woodland che tra un intervento e l’altro era obbligato a cliccare sulle finestrelle nelle quali accettava con un clic di rinunciare alle sue pause. “Eravamo tutti in trincea“, ha detto Timmer.

L’aumento di lavoro ha obbligato i tecnici a sostituire le classiche due ore medie presso i laboratori per le riparazioni con la presenza continua al Genius Bar. Il risultato è stato un allungamento dei tempi di riparazione e la presenza obbligata in laboratorio fino alla mezzanotte.
A fronte di questo aumento di carico di lavoro, Jordan Golson racconta che nel Natale del 2010 ha avuto come sostegno aziendale una coperta in pile e un thermos di caffè. E nemmeno un misero e gratuito “thank you very much”.

Per Shane Garcia l’azienda di Cupertino è un mix agrodolce: “Bei ricordi e tanta ammirazione, ma anche tanta tristezza. Entri in azienda con le aspettative migliori e con la certezza di rimanerci per sempre. E in appena tre anni lavori già da un’altra parte”.

Anche se Apple non incentiva alla vendita il dipendente con dei premi, questo ha comunque degli obbiettivi gentilmente imposti, come la vendita dell’Apple Care.

Secondo Graham Marley non è solo la busta paga a creare la delusione, ma anche la mancanza di un percorso di crescita e di carriera: “Ti rendi subito conto che passano gli anni e non cambia nulla”.
Situazione completamente diversa per i manager. Con il successo dell’iPhone, Apple ha cominciato a “comprare” grandi manager da tutte le parti. E, ad oggi, nessuno di questi racconta malesseri o problemi di sorta, of course… L’entusiasmo rimane intatto e gli anni di lavoro sono oltre la media dei ragazzi dello Store, of course ! Chissà il perché…

Questi manager sono al corrente del malessere sempre più diffuso tra i dipendenti in trincea. I sondaggi interni certificano quello che ormai tutti sanno. A tal punto che oggi la questione è uscita allo scoperto. “Ne abbiamo discusso in un incontro mensile e il nostro manager aveva le lacrime agli occhi“, ha ricordato Timmer. “Ci ha detto qualcosa su come sono umilianti questi dati e che vogliono risolvere gli eventuali problemi, che la sua porta è sempre aperta e così via“. Risultati simili un po’ ovunque. Il problema è, insomma, ufficiale di tutti gli Store.

Ogni dipendente che lascia Apple è cosciente di essere sostituito senza alcuna difficoltà da uno altrettanto giovane e bravo appena uscito dal college. E con la consapevolezza che ci sarà sempre qualcuno pronto a lavorare per Apple.

In Italia qualcuno sorriderà, perché la situazione da noi è ben peggio e gli standard di Apple sono un miraggio per molti precari sfruttati da lavori sottopagati. Ma se in America la situazione è questa, significa che da noi può peggiorare ulteriormente. Con una differenza però: alla Apple lo hanno capito.

 

 

Fonte: NYT

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